I wish I was a fisherman
Tumblin' on the seas
Far away from dry land
And its bitter memories
Casting out my sweet line
With abandonment and love
No ceiling bearin' down on me
Save the starry sky above
With light in my head
You in my arms
Woo!
I wish I was the brakeman
On a hurtlin' fevered train
Crashing a-headlong into the heartland
Like a cannon in the rain
With the beating of the sleepers
And the burnin' of the coal
Counting the towns flashing by
In a night that's full of soul
With light in my head
You in my arms
Woo!
Tomorrow I will be loosened
From bonds that hold me fast
That the chains all hung around me
Will fall away at last
And on that fine and fateful day
I will take thee in my hands
I will ride on the train
I will be the fisherman
With light in my head
You in my arms
Light in my head
You in my arms
sabato 13 settembre 2025
Fisherman's Blues (The Waterboys)
giovedì 22 febbraio 2024
Canto di un poeta caduto (il Duca)
C'era sempre una montagna da scalare, una poesia da scrivere, una verità da indagare. Il desiderio ardente, lanciato come una freccia nel sole, era il motore di ogni azione, tutto era vita, forza, energia, speranza.
Che fine hanno fatto le nottate attorno ad una bottiglia? Con le parole che scorrevano come torrenti in primavera, carichi di acqua vivida e feconda. Le passeggiate senza una meta, a discutere del futuro: come costruirlo? Come lottare per esso, contro il nemico che sarebbe caduto sotto alle nostre idee?
Non si era mai stanchi di mettere un piede davanti all'altro e i sogni correvano dinnanzi a noi. Che fine hanno fatto ora? Che fine abbiamo fatto noi filosofi della bellezza, alpinisti dell'assoluto, rivoluzionari del vivere autentico?
Si lottava contro il nemico, contro la formalità, contro l'incrostazione derivante da significati vuoti e monotoni, lontani dalla creatività del filosofo poeta. Si lottava per la bellezza ad ogni costo, una bellezza infinita, in grado di esplodere e gonfiare la vita. Una bellezza autentica, inafferrabile, ma eternamente presente come l'Essere di Parmenide.
Quella bellezza era tutto per noi, che ogni fine settimana strisciavamo sulle montagne, elevandoci oltre la monotonia del nemico. Si svelavano infiniti mondi, sulle pareti di ghiaccio, nella dolcezza dei fiori, nella ruvidità della roccia.
Veramente tutta quella vivida passione, quella speranza ardente e combattiva, si è rinsecchita? Veramente tutto alla fine si è incrostato precipitando nella stanca insignificanza del mondo dominato dalla formalità? Veramente alla fine il nemico ha trionfato e la nostra lotta, la bellezza respirata, l'autenticità cercata, è finita nel baratro del nulla?
Realmente allora la vita autentica volta alla bellezza è destinata alla disperazione e dunque alla sconfitta? Il desiderio che ha dominato le nostre vite e che ancora spinge nel fondo del cuore, sembra imbrigliato nel nulla della vita formale. E allora ci si sente impotenti, affossati. Con la voglia che si è consumata in una corsa che sembra ormai senza spazio. Realmente ci dobbiamo arrendere definitivamente?
Eppure questa resa risulta a me insopportabile! La mancanza di spazio porta alla rabbia, alla rabbia contro tutto un mondo che si presenta come gabbia bastarda, che tenta di contenere un fuoco che brucia, arde, ma che non riesce più a incendiare. Forse tutto questo si chiama disperazione. Forse questo è il giusto termine.
Il problema è quello già individuato quando ancora le parole scorrevano a fiumi attorno alla bottiglia: come rispondere all'abisso di un desiderio infinito? Ma ancora più complicato è rispondere a questa domanda ora, adesso che la speranza sembra essere pesantemente caduta a terra.
Io riesco solo ad avere una debole consolazione: che almeno quella vita estetica protesa alla bellezza, alla verità, all'autenticità, all'azione, alla lotta, possa risplendere come una tenue luce nella notte attraverso i nostri occhi e i nostri racconti. Ecco perché allora provare a scrivere ancora, ad insegnare, a emanare poesie. Ecco perché provare ancora a lanciare lo sguardo in alto, verso la bellezza, le montagne e il cielo stellato.
venerdì 21 luglio 2023
Riflessione alla base di un camino (il Duca)
Seduto alla base di una parete sognata e studiata per tanti mesi, ascolto il silenzio e il freddo del vento che inizia a graffiarmi le ossa.
Il mio mondo è fatto di pietre chiare e neve caduta nella notte; sopra di me il camino nero che avrei dovuto imboccare gronda acqua, soffiando giù aria umida e gelida. Lo guardo un'altra volta, mentre le nubi sottili turbinano sopra di me e lungo i fianchi della montagna. Osservo le placche che luccicano e su cui scorre lenta l'acqua, provo ad immaginare una labile possibilità per superare quei passaggi, ma oggi realisticamente bisogna constatare che è necessario rinunciare.
Un paio di tentativi poco convinti li ho anche già fatti: sia nel camino che sullo spigolo. Laddove la roccia è asciutta è un vero piacere metterci la mano, si può percepire la sua ruvidità che dà sicurezza. Ma per lo più ci si trova ad annaspare sul bagnato.
Sono lì solo, convinto del mio sogno, del mio progetto, ma consapevole di dover dichiarare la resa. Alzo lo sguardo un po' malinconico, un po' dispiaciuto, ma oggi non riesco ad essere incazzato. Non riesco a prendermela con la mia montagna. Lei così grande, bella, eterna, io così testardo ed innamorato di lei.
Mi guardo attorno, tutte le guglie grigie che mi circondano e si innalzano verso il cielo, quei pinnacoli in cui sono racchiusi i miei ideali, o forse qualcosa di ancora più concreto: la mia essenza e la mia storia.
Quest'anno la montagna è con me particolarmente severa, anzi è da due anni che lo è. Tutti i dannati weekend e tutte le volte che posso sono da lei, sempre, in ogni stagione. Di cime ne ho fatte tantissime, di ogni tipo. Ho salito pareti, creste, canali, qualunque tipo di via. Ma da due anni, a parte qualche sporadica eccezione che si può contare sulle dita di una mano, non ho mai trovato condizioni normali. Pioggia, vento forte, pareti che scaricano impietosamente, neve marcia, roccia fradicia... ogni volta c'è da lottare oltre ogni previsione e ci si trova nella situazione di dover decidere se continuare o no.
Questa volta decido di no, è una rarità anche questa. Decido di fermarmi e lo faccio tranquillamente, sedendomi lì su quel ghiaione guardandomi attorno.
Questa volta non proseguo imprecando, urlando i miei vaffanculo alla sfiga, volendo dimostrare che nonostante tutto io se voglio vado avanti. No, questa volta mi fermo e mi guardo attorno, osservo le mie montagne come un bimbo guarda la mamma che lo ha appena sgridato e non capisce bene perché.
La montagna per me è stata tutto. E' la terra a cui appartengo, la casa a cui tornare, il luogo dove ritrovarmi. E' la dura realtà contro cui amo sbattere e danzare ogni qualvolta devo trovare la mia direzione, la mia identità e la mia forza.
E' il mondo dove si sono sviluppate le amicizie più vere, i pensieri più autentici, le consapevolezze più genuine. Io ho bisogno della montagna, ne ho sempre avuto bisogno, fin da quando ho memoria. Se dico “montagna” mi vedo a due anni su un prato che cammino insicuro e ciondolante, sorridendo alla mamma, con dietro i ghiacciai del Cevedale che mi osservano, figlio anche loro. E poi mi vedo con i miei amici a caccia di sogni, dove dietro ad un uno ce n'è sempre un altro: pareti di ghiaccio, spigoli di roccia, crepacci aperti che richiamano l'abisso presente in tutti noi. Mi vedo solo, dall'altra parte del mondo, sotto montagne gigantesche, esotiche, che però nascondono nella loro enormità qualcosa di mio, ed è per questo che sono lì da loro.
Io ho bisogno della montagna perché sono un pezzo di loro e loro custodiscono quella parte intima di me, ecco perché è là che posso ritrovare me stesso.
Penso a tutto questo guardando la parete che mi ha appena respinto, guardando le cime tutte attorno a me che si elevano verso il cielo. Ed è così ancora che mi chiedo: perché, cara montagna, che cosa mi stai dicendo in questi anni con la tua severità?
Vorrei trasmettere tutto quello che la montagna mi ha donato, questo è un desiderio che da un po' bussa forte. Forse la montagna ora me lo sta dicendo anche lei: non ti ho dato tutto questo per trascinartelo nella tomba. Ecco, ora voglio partire da qui.
martedì 3 gennaio 2023
Ho un diavolo in me (il Duca)
giovedì 30 settembre 2021
Stupidamente felice (il Duca)
mercoledì 12 maggio 2021
Grandes Jorasses (il Duca)
Da anni quel nome gira sulle nostre bocche, ma non l'abbiamo mai messa davvero in programma. Troppo difficile azzeccare le giuste condizioni, anche solo per la via normale, per quella che è considerata una delle vie normali più impegnative di tutte le Alpi.
Poi un giorno Lallo mi scrive: “secondo me potrebbe essere la volta buona...” io non esito un istante. Chiamiamo, prenotiamo e si parte.
Seduti su una panchinetta di legno mangiamo i nostri panini al riparo di un larice, mentre la pioggia riempie la Val Ferret. C'è qualche dubbio, ma più forte di tutto c'è la voglia di farcela, ora che siamo qui, ora che abbiamo davvero osato bussare alle porte della grande montagna.
Saliamo verso il Boccalatte e lentamente il velo di pioggia si apre lasciando spazio ad un timido sole. Al rifugio ci troviamo come a casa, davvero. Franco è molto più di un mito, è un rifugista autentico, di quelli che solitamente trovi nelle valli più nascoste e selvagge. Raccogliamo qualche consiglio, un sacco di belle storie e del sano riposo, poi all'una di notte partiamo.
La salita della Grandes Jorasses è impossibile da assaporare, non è una prelibatezza, ma un'abbuffata da fare col fiato sospeso. Camminiamo nel buio totale, seguendo la labile traccia che sale a zig zag per il ghiacciaio, solo a tratti ci accorgiamo degli enormi crepacci che stiamo aggirando.
Raggiunte le rocce Reposoir, dopo il primo tiro di misto, ci togliamo i ramponi e iniziamo la risalita in conserva protetta. A poco a poco i nostri occhi si abituano a cercare nel buio della notte i giusti appigli, guidati dalla debole luce delle nostre frontali. Saliamo bene, ottimamente coordinati: io metto i friend, Lallo li toglie e via, così, verso l'alto.
Giungiamo sulla cima dello sperone che il giorno inizia ad illuminare il mondo attorno a noi: una cascata di seracchi ci divide dal pilone roccioso che scende dalla Whymper. Guardiamo questo universo glaciale immaginando un possibile passaggio: tutto è ancora in penombra, tutto qui è incredibilmente inospitale e allo stesso tempo terribilmente affascinante.
Ripartiamo con estrema cautela, facendo il lungo traverso con il fiato sospeso. Dove il ghiaccio è più insidioso proteggo con una vite, passando poi a metà tra la placca di granito e la lama di neve crostosa. Cerco di trovare nella mia testa tutta la leggerezza possibile da trasmettere al mio corpo. Giungo così alla base delle Rochers Whymper, dove riesco ad attrezzare una buona sosta per recuperare Lallo.
Ora è tempo di tornare ad arrampicare su roccia. Saliamo bene, fino ad affacciarci ancora una volta su di un mondo nuovo: siamo al cospetto del famoso gigantesco seracco pensile, la massa di ghiaccio che regna sovrana tra le due punte principali delle Jorasses.
Ci guardiamo attorno e non abbiamo dubbi sul da farsi: tenteremo di scalare il couloir che sale tra il seracco e le Rochers Whymper, come suggeritoci da Franco.
Iniziamo così la nostra ascesa verso la vetta, l'ultimo capitolo verticale di un viaggio che sembra un mosaico di scalate diverse. Più una saga che un saggio.
Quest'ultimo tratto, inserito nella sezione più pericolosa e fatale dell'intera montagna, è avvolto da un incanto sublime. Ai colpi delle nostre piccozze fa eco il gorgoglio dell'immenso seracco, che alla nostra destra si muove continuamente come un mostro alieno.
Superati una serie di crepaccetti orizzontali e ben nascosti dalla neve, finalmente sbuchiamo in cresta. Davanti a noi, oltre l'enorme cornice che fa da balconata al filo, precipita con una verticalità spaventosa la famosa parete nord, che sembra non finire mai.
Con l'estrema cautela che oggi non dobbiamo mai abbandonare, seguiamo l'affilata cresta fino a toccare la cima della Punta Whymper. Siamo immensamente felici, emozionati lì in piedi sulla vetta, mentre sotto di noi si dispiega il mondo intero. Non osiamo però rilassarci nemmeno per un istante, non ci consideriamo assolutamente arrivati.
Dopo aver scattato qualche foto, come due equilibristi legati alla medesima corda ci muoviamo sul filo di cresta verso la punta Walker. Superiamo qualche saltino di misto, con la vertigine della Parete Nord che non smette mai di richiamarci. Giunti alla sella tra le due cime la dorsale si allarga notevolmente e camminando senza più difficoltà raggiungiamo la vetta più alta delle Jorasses.
Ora sentiamo che ce l'abbiamo fatta per davvero: il regno del Bianco col suo re è tutto attorno a noi, ma più che il paesaggio è la percezione di essere sulla testa di questa montagna mitica che ci riempie il cuore. Non siamo qui come due spettatori, ma come i privilegiati viandanti a cui è stato concesso di inoltrarsi nelle profondità di una terra sacra.
Dopo esserci goduti la vetta in un clima perfetto ed accogliente, iniziamo a malincuore la discesa per la via normale. Vaghiamo per nevai scaldati dal sole e rocce instabili che ci impegnano più di quanto ci aspettavamo. Alla fine giungiamo al ghiacciaio sotto al grande seracco, che attraversiamo a passo spedito. Raggiunte nuovamente le Rochers Whymper ripercorriamo a ritroso la nostra via tornando al Boccalatte e poi a valle.
Qualche ora dopo ci troviamo all'autogrill di Novate a mangiare Hamburger. Attorno a noi diverse famiglie, coppiette, gruppetti di amici e gente sola. Dentro di noi il dono di una montagna immensa e leggendaria che nessuno ci potrà mai togliere: la Grandes Jorasses!
lunedì 9 novembre 2020
La Grande Parete dei Palù (il Duca)
martedì 14 luglio 2020
Our Shangri-La (Mark Knopfler)
for all the surfer boys and girls
the sun’s dropping down in the bay
and falling off the world
there’s a diamond in the sky
our evening stone in our Shangri-La
Get that fire burning strong
right here and right now
it’s here and then it’s gone
there’s no secret anyhow
we may never love again
to the music of guitars in our Shangri-La
Tonight your beauty burns into my memory
the wheel of heaven turns above us endlessly
this is all the heaven we got
right here where we are in our Shangri-La.
Tonight your beauty burns into my memory
the wheel of heaven turns above us endlessly
this is all the heaven we got
right here where we are in our Shangri-La
in our Shangri-La
in our Shangri-La
venerdì 10 aprile 2020
La Via del Blues (il Duca)
venerdì 6 marzo 2020
By My Side (INXS)
Those small hours
Uncertain and anxious
I need to call you
Rooms full of strangers
Some call me friend
But I wish you were so close to me
In the dark of night
Those small hours
I drift away
When I'm with you
In the dark of night
By my side
In the dark of night
By my side
I wish you were
Here comes the clown
His face is a wall
No window
No air at all
In the dark of night
Those faces they haunt me
But I wish you were
So close to me
In the dark of night
By my side
In the dark of night
By my side
I wish you were
I wish you were
In the dark of night
By my side
In the dark of night
By my side
I wish you were
I wish you were
In the dark of night
Those faces they haunt me
Well, I wish you were so close to me
Yes I wish you were
By my side